L’arcivescovo di Ferrara: «Il Papa dei migranti e dei poveri»
Gian Carlo Perego: «Il Vangelo di Bergoglio è l’annuncio della gioia»
Ferrara «È venuto meno un Papa che rappresentava il centro della Chiesa, ma anche un figlio di emigranti che non ha mai dimenticato la sua origine». Così l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio Gian Carlo Perego ricorda la figura di Papa Francesco.
Sua Eccellenza, la morte del Papa ha colpito profondamente i cristiani e anche chi non crede. Si aspettava una notizia così terribile dopo la sua presenza in San Pietro nel giorno di Pasqua?
«Le condizioni di salute di Papa Francesco, dopo il suo ricovero al Gemelli, erano critiche, anche se aveva recuperato parzialmente la voce. La notizia della sua morte, seppur improvvisa, non era inattesa. Il Papa ha voluto lasciarci dopo averci augurato la Pasqua ed essere ritornato in piazza, dove, nei dodici anni del suo Pontificato ha moltiplicato le parole e gli incontri».
Qual è il messaggio che lascia il Papa e come sarà ricordato nella storia della Chiesa?
«Certamente sarà ricordato come il Papa che ha voluto rinnovare l’annuncio del Vangelo, del Vangelo della gioia - come titola la prima sua esortazione apostolica, quasi un programma del Pontificato, Evangelii Gaudium. Un annuncio evangelico che ha come primi destinatari i poveri e non i potenti. Un annuncio accompagnato da scelte concrete di riforma della Chiesa, per la quale ha voluto rinnovare il Sinodo dei Vescovi aprendolo anche alle componenti del popolo di Dio. Tra i volti dei poveri che il Papa ha amato di più ci sono quelli dei migranti e rifugiati - ai quali ha dedicato il suo primo viaggio a Lampedusa nel 2013, i senza fissa dimora, i carcerati - incontrati a Rebibbia il Giovedì santo. Le quattro encicliche del Papa segnalano ciò che stava più al centro della sua vita e del suo Magistero: la fede legata alla vita - con l’enciclica Lumen fidei; la cura del creato e un nuovo stile di vita sostenibile, con l’enciclica Laudato sì, pubblicata dieci anni fa e indirizzata non solo ai credenti, ma a tutti gli uomini e le donne, come fece San Giovanni XXIII con la Pacem in terris, un testo che ha inaugurato un nuovo tema della dottrina sociale della Chiesa, accanto al lavoro, allo sviluppo e alla pace, la cura del creato; la riscoperta della categoria della fraternità non solo in riferimento alla Chiesa, ma al mondo nel quale il cristiano vive, con l’enciclica Fratelli tutti; l’amore di Cristo che chiede il nostro amore, nell’ultima enciclica dedicata al Cuore di Gesù, una devozione molto legata ai gesuiti. Certamente il suo Magistero sociale è segnato da numerosi appelli alla pace, gli ultimi dei quali per l’Ucraina, Gaza, il Congo, il Sud Sudan, ma anche al disarmo. Nel messaggio pasquale "urbi et orbi" è risuonato con forza: "Mai più la guerra!". Credo che sarà ricordato come il Papa dei migranti e dei poveri».
Quali sono stati i momenti più significativi del suo pontificato?
«Ritengo che tra i momenti più significativi del suo Pontificato ci siano i viaggi a Lampedusa e a Lesbo, per visitare i rifugiati e invocare accoglienza; i numerosi incontri con i detenuti, l’ultimo difficile e faticoso viaggio in Asia, forse causa del repentino deperimento della sua salute. Tra i sinodi, oltre a quello sulla famiglia durato due anni e che ha generato anche la discussa esortazione apostolica Amoris laetitiae - che ha rinnovato la pastorale familiare -, ricorderei il Sinodo dei Vescovi avviato nel 2021 e concluso nel 2024, che il Papa ha aperto per la prima volta alla partecipazione delle diverse componenti del popolo di Dio e che ha voluto che si prolungasse nelle diverse Chiese locali per altri tre anni, per riformare la Chiesa alla luce del Concilio Vaticano II e del tempo presente».
Lei ha avuto modo di parlargli di persona, può raccontare qualche aneddoto?
«Ho avuto diversi incontri con Papa Francesco, in particolare sono stato una settimana a Santa Marta, durante il Covid, quando mi ha incaricato di fare una Visita apostolica al Capitolo di San Pietro di Roma: in quella circostanza ogni giorno ho potuto dialogare con lui e pranzare alla stessa mensa. L’incontro che ricordo maggiormente è stato il primo dopo la mia nomina ad arcivescovo di Ferrara-Comacchio. Tra le altre cose, in quella occasione mi disse: "Non dimenticarti dei migranti!": un impegno che sento doveroso anche per quelle parole e che mi ha portato ad accettare, dopo esserne stato direttore, la presidenza della Fondazione Migrantes della Cei».
Papa Francesco non è mai venuto in visita a Ferrara. C’è mai stata una possibilità del genere negli scorsi anni?
«Non c’è mai stata una possibilità concreta, dopo la visita di San Giovanni Paolo II nel 1990. Un’idea era venuta, con la Diocesi di Ravenna e Bologna, in occasione del centenario di don Minzoni, subito sfumata. Una possibilità si era intravista per il prossimo Congresso eucaristico che si terrà nel 2027, ma la nostra candidatura era seconda dopo Orvieto e le diocesi umbre, anche perché era il turno di una Diocesi del Centro Italia. Speriamo di poter essere scelti dalla Cei per il Congresso eucaristico del 2032 e incontrare il nuovo Papa a Ferrara».
Ora in Vaticano si apre ufficialmente la fase di "sede vacante". Cosa dobbiamo aspettarci?
«Credo non sarà un breve Conclave, anche perché molti dei 135 cardinali non si conoscono tra loro. Credo che lo Spirito Santo ci regalerà un nuovo Papa riformatore, forse Papa Francesco II o Paolo VII, in continuità con i due Pontefici che hanno preparato e vissuto il Concilio vaticano II. Il nuovo Papa potrebbe essere un italiano».